Secondo le stime risultanti dalla seconda edizione dell’European Data Market Study, sviluppato dall’International Data Corporation, il mercato dei dati europei aveva un valore di quasi 300 miliardi di euro nel 2016 ma raggiungerà i 740 miliardi entro il 2020, rappresentando, così, il 4% del PIL dell’intera Unione Europea.
La trasformazione digitale, tuttavia, si sta espandendo ben oltre i confini del mondo del web e della tecnologia, arrivando ad investire settori come il settore delle automobili e addirittura l’agricoltura.
Ogni anno, infatti, le grandi aziende investono milioni di Euro nello sviluppo di nuove tecnologie atte alla raccolta e all’analisi di informazioni relative alla vita e alle abitudini dei clienti o di potenziali tali. Le principali tecnologie implementate e migliorate a tal fine sono il cloud, i big data e l’intelligenza artificiale le quali, abilmente mixate tra loro, permettono di accelerare e diversificare la raccolta ovvero ottimizzare l’elaborazione di informazioni, e dunque aumentare la capacità competitiva della singola azienda.
Le informazioni raccolte, per l’appunto, costituiscono una vera e propria linfa per l’economia digitale: avere informazioni sulle abitudini e i gusti della popolazione permette di conoscere le esigenze degli utenti, e questo, a sua volta, consente di migliorare il prodotto offerto e indirizzare con maggiore efficacia la pubblicità ai soggetti che ne hanno una reale necessità.
Il processo di analisi dei dati raccolti è divenuto, quindi, indispensabile per mantenere la capacità competitiva e non essere travolti da altri competitors.
Il digitale sovverte le regole, rendendo possibile la raccolta di informazioni degli utenti di un servizio gratuito per poi utilizzare i medesimi dati in un altro settore differente, e ciò prima che l’interessato possa rendersene conto.
Ciò che più conta, allora, è arrivare per primi nella corsa al cliente e all’offerta del prodotto più innovativo, poco importa se, per farlo, sia necessario commettere qualche scorrettezza. In una realtà come quella odierna, dove la rapidità d’azione è tutto e dove la differenza tra lecito e illecito è quanto mai labile, la garanzia del controllo del rispetto delle regole fissate assume, quindi, un ruolo predominante.
La regolamentazione dei mercati risulta, tuttavia, molto complessa e ancora troppo legata a concetti giuridici ampiamente superati dalla legge “del bit”. Il problema principale è rappresentato dall’incertezza dei confini del mercato e dalla difficoltà di disciplinare l’utilizzo di dati che vengono trattati con modalità tra loro differenti e mediante l’utilizzo di tecnologie in costante evoluzione.
D’altra parte le principali leve utilizzate sinora, come le multe o le scorporazioni di attività, non sembrano efficaci come lo erano un tempo: le prime non appaiono mai abbastanza elevate rispetto al patrimonio di cui dispongono i grossi colossi tecnologici, mentre le seconde sono inapplicabili, non potendosi contenere artificialmente quanto, per sua stessa natura, trova il proprio valore nella rapida diffusione.
Infine le stesse procedure processuali non viaggiano alla stessa velocità del mondo cibernetico, con la conseguenza che dovrà essere il sistema processuale ad adeguarsi alle nuove esigenze richieste dalla cybersecurity, trovando un modo per fornire un’adeguata interpretazione e conseguente applicazione univoca alle norme che hanno per oggetto le nuove tecnologie.
Un ruolo sempre più rilevante hanno poi gli acquisti e le vendite tramite canali e-commerce che, secondo Euipo (Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale), costituiscono il 90% delle esportazioni UE. La Commissione Europea ha evidenziato che “per promuovere gli investimenti nell’innovazione e nella crescita è indispensabile disporre di sistemi di proprietà intellettuale efficienti, ben strutturati ed equilibrati”. È stato quindi predisposto un pacchetto completo di misure destinate a garantire la tutela della proprietà intellettuale ma anche la tutela dei dati e dei diritti relativi al know-how.
Tali misure sono state adottate al fine di ridurre rischi di violazioni della proprietà intellettuale che, secondo l’Euipo ha comportato perdite complessive pari a 48 miliardi nell’Unione, con la conseguente necessità di promuovere la diligenza dei soggetti coinvolti nello sviluppo e trasferimento di prodotti passibili di violazione della proprietà intellettuale.
In quest’ottica la blockchain rappresenta uno strumento fondamentale. Essa consiste in un registro informatico pubblico e condiviso di dati, che viene aggiornato automaticamente e costantemente su tutti i server che fanno parte della rete. Lo strumento, inoltre, non è passibile di modifiche o alterazioni da parte di terzi, compresi gli operatori che della rete fanno parte. Attraverso una “catena di blocchi” – costituiti dalle precedenti operazioni degli altri operatori – si costituisce una sequenza lineare che garantisce l’individuazione del bene e del suo autore.
La soluzione ai problemi derivanti dal costante incremento dell’ingerenza della tecnologia nella nostra vita è tutt’altro che vicina e dovrà, probabilmente, prevedere una stretta collaborazione tra i grandi del digitale, che hanno aperto una nuova frontiera del mercato, e il legislatore che, pur nella consapevolezza dei rischi connessi alla nuova gestione delle informazioni, non sembra ancora avere piena coscienza dei risvolti secondari delle proprie decisioni.

Le forme di controllo nel mercato dei dati